Non me ne capacito. Sono queste le quattro – fastidiose quanto inutili – parole che mi rimbalzano in testa da un po’. Da quando, per essere precisi, ho iniziato a seguire le vicende di alcune famiglie bloccate in Congo con i loro figli. 
Da sempre sono profondamente convinta di come, nelle situazioni di emergenza, conti poco capire di chi è la colpa ma importi soprattutto risolvere il problema. E senza ombra di dubbio quella che stanno vivendo queste famiglie è sicuramente una situazione di emergenza estrema.
 
I fatti sono noti: a fine settembre le autorità congolesi hanno disposto il blocco delle adozioni, salvo poi permettere alle coppie che già avevano completato la “pratica documentazione” di concludere il loro iter adottivo.
 
Una concessione che però, per il momento, non ha avuto il suo corrispettivo nella realtà, perché ancora parecchie famiglie sono in Congo. E non in vacanza, per la cronaca. Vivono in situazioni difficili, con farmaci che mancano e acqua che latita. E nel frattempo attendono speranzose che arrivino i permessi di uscita dal Paese per i loro bambini (anche se qualcuno si ostina a chiamarli “minori”, quasi a voler sminuire i veri protagonisti di questa cosa meravigliosa che è l’adozione, il diritto di ogni bambino ad avere una famiglia).
 
Fa indubbiamente piacere che – come recita il comunicato apparso sul sito della Cai - l’ufficio della ministra Kyenge si mantenga “in contatto stretto con la Farnesina per esplorare ogni possibile azione che possa spingere il Governo di Kinshasa a dare seguito alle assicurazioni fornite alla ministra, ponendo così fine alla estenuante attesa delle famiglie e dando finalmente soddisfazione al loro desiderio di poter dare il calore di una famiglia a bambini che non hanno avuto la fortuna di averne una propria».
 
Ma è evidente che questo non basta. Non abbiamo la bacchetta magica né poteri straordinari, ma dobbiamo mobilitarci tutti insieme perché si arrivi all’epilogo – felice – di questa vicenda che ha del surreale. Perché è semplicemente inaccettabile che una famiglia – perché quelle di cui stiamo parlando, ricordiamolo ancora una volta, sono FAMIGLIE a tutti gli effetti – non possano uscire dal Congo per raggiungere l’Italia, il loro Paese.
 
E quindi, oltre a esprimere solidarietà incondizionata verso chi sta vivendo in prima persona quest’esperienza difficile, ci uniamo per chiedere al Governo italiano un intervento immediato e sollecito per portare a casa queste nuove famiglie. In fretta. Anzi, subito.
 
Paola Strocchio (Robiola)
Ufficio Stampa Cifa Onlus (e mamma adottiva)
 
 
Nota di Redazione: A questo appello di Paola Strocchio si unisce tutta la comunità di Mammeonline che sta inviando mail e comunicati ovunque sia possibile, dai social network alle mail governative. Unitevi anche voi, fate rimbalzare l'appello affinché le famiglie adottive bloccate in Congo possano tornare subito a casa!
 
 
Immagine tratta dal sito http://www.meghmiller.com

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