“Se si comparano le carriere delle donne che hanno avuto un figlio con un gruppo di lavoratrici simili ma senza figli, a quindici anni dalla maternità, i salari lordi annuali delle madri crescono di 5.700 euro in meno di quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita”.

Questo il bilancio del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, in occasione della presentazione della Relazione annuale.

La scoperta dell’acqua calda, ma se lo affermo io singola sono la solita lamentosa e colei che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto. Diverso se lo dice una fonte ufficiale, diverso è se sempre più donne se ne accorgono, ne parlano, denunciano e non stanno lì a giudicarsi l’una con l’altra senza far niente di concreto per cambiare le cose. E siccome il personale è politico, forse occorre che a questo punto ci sia una rivoluzione e un movimento collettivo che chieda alle Istituzioni di questo Paese di intervenire. Perché di report, numeri e percentuali non si vive.

Non è che ci piace assentarci, è proprio che non c’è alternativa, e spiace che in molte se ne siano accorte solo in era Covid, quando non hanno più potuto mandare i figli anche se malati a scuola. Ma è sempre tutto un problema di carichi di cura suddivisi in base al genere, perché forse il monte ferie e permessi delle donne che hanno figli potrebbe non essere intaccato in questa misura se anche il compagno/padre si assentasse anche lui.

La legge prevede per i genitori 6 mesi di astensione facoltativa dal lavoro: fino ai 6 anni si ha diritto al 30% della retribuzione. Dai 6 agli 8 anni resta questo 30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente “è inferiore a 2,5 volte l'importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi”. Dagli 8 ai 12 anni non si ha diritto ad alcuna indennità.

Tale congedo parentale spetta per un periodo complessivo tra i due genitori non superiore a dieci mesi e può essere fruito anche contemporaneamente.

Ma non è solo un problema di congedi, perché chi ha la possibilità, per poter conciliare, sceglie il part-time e nella stragrande maggioranza sono le donne.

Infatti Tridico aggiunge: “I salari settimanali crescono del 6% in meno, le settimane lavorate in meno sono circa 11 all’anno e l’aumento della percentuale di madri con contratti part-time è quasi triplo rispetto a quello delle donne senza figli. Gli effetti della maternità sono pertanto evidenti e si manifestano non solo nel breve periodo, ma persistono anche a diversi anni di distanza dalla nascita del figlio”.

In pratica, quando ci raccontano che superato lo scoglio degli anni della prima infanzia, tutto potrà tornare a girare più o meno come prima, ci racconta l’ennesima favola. Perché gli effetti di queste difficoltà hanno strascichi lunghi. Il presidente dell’Inps suggerisce: “Sarebbe utile prevedere ad esempio uno sgravio contributivo per donne che rientrano in azienda dopo una gravidanza, aiutando così l’occupazione femminile e riducendo le possibilità di indebite pressioni sulle scelte delle lavoratrici. Per ogni neoassunta, entro tre anni dall’assunzione, che vada in maternità e rientri al lavoro, l’azienda otterrebbe un esonero contributivo per tre anni“.

Il solito pannicello caldo, utile sul momento, finché ci sono fondi per coprire la misura, ma che non interviene sulle cause strutturali e culturali a monte del divario di genere nel mondo del lavoro: nulla cambia sugli equilibri uomo-donna, i compiti di cura restano appannaggio quasi esclusivo delle donne, tranne alcuni casi, non si spinge verso un cambiamento concreto delle abitudini quotidiane.

Poi c’è anche un altro mito da superare: le donne con figli sono zavorre per le imprese e sono meno produttive e lavorano con minori risultati e motivazioni. Per non guardare il mondo attraverso le lenti degli stereotipi forse occorre documentarsi e osservare un arco temporale più ampio e considerare le capacità messe in campo dalle donne per raggiungere e mantenere un equilibrio tra vita privata e lavoro. Si tratta di una rivoluzione per le aziende: adottare una valutazione della “gender diversity” nella propria politica aziendale, creando un rapporto migliore tra tutti i dipendenti, attraverso l’adozione di politiche inclusive nell’organizzazione aziendale, in ogni fase, dal reclutamento alla scelta di posizioni di leadership. 

Invece, molto spesso, le aziende preferiscono non investire in questo tipo di valutazioni e politiche, favorendo piuttosto le dimissioni e il turnover dei dipendenti. Si preferisce perdere una donna qualificata, formare un altro soggetto ex novo, piuttosto che consentirle flessibilità, farla rimanere nel giro attivo del lavoro. Così ogni anno si perdono risorse importanti e anche se possono sembrare scelte razionali e utili nell’immediato, questo penalizza le aziende, facendogli perdere tempo e magari non trovando necessariamente rimpiazzi altrettanto qualificati. C’è di fatto bisogno di una rivoluzione di tipo culturale, di organizzazione aziendale, di redistribuzione dei compiti di cura familiari e di maggiore sincerità e solidarietà anche tra noi donne, dentro e fuori le aziende. Lo abbiamo visto ancora di più in concomitanza con la pandemia Covid19. Il congedo Covid è stato usato quasi interamente da donne (90%), nonostante la normativa ne permettesse la condivisione con il partner. Ancora una volta ha pesato la differenza salariale uomo-donna, rendendo più “sacrificabile” il lavoro femminile.

Dopo il lockdown sono stati gli uomini a rientrare per primi al lavoro, le donne hanno prolungato lo smart working e alcune sono arrivate a valutare le dimissioni. Sono venuti meno i sostegni dei servizi pubblici (scuole) e baby sitter per paura dei contagi, ma ricordiamoci che gran parte del reale welfare gratuito sostitutivo è costituito dai nonni. È evidente che le donne che hanno resistito e resistono al lavoro possono e hanno sempre potuto contare su un aiuto interno alla famiglia, anche spesso mettendo a repentaglio la salute degli anziani in questa fase pandemica. Infatti, sono numerosi i casi in cui sono i nonni che continuano a gestire i nipoti quotidianamente, anche durante le quarantene fiduciarie. Un grande cortocircuito che rileva la quasi totale assenza di politiche di conciliazione efficaci alternative a questo pericoloso faidate familiare.

Il tasso di occupazione femminile con la pandemia sta arretrando: nel secondo semestre 2020 si attestava al 48,4%, 470mila occupate in meno (66,6% quello maschile). Siamo al penultimo posto in Europa. Abbiamo titoli di studio più elevati degli uomini, siamo più qualificate, ma nella pratica restiamo indietro, spesso dobbiamo ripiegare su lavori meno redditizi, rinunciare a far carriera, reinventarci un lavoro continuamente. Ancora oggi una donna su sei esce dal mondo del lavoro in seguito alla maternità, con le le dimissioni volontarie delle donne con figli da 0 a 3 anni in costante aumento: nel 2019 hanno superato le 35.000 unità.

Finché continueremo a considerare questi fenomeni come qualcosa che non ci riguarda, perché a noi è andato tutto bene, finché li considereremo una questione privata e non politica, non scalfiremo questa realtà. Ancora oggi molte donne non riescono a capire che occorre lottare, che è inutile e ingiusto pretendere che la scuola resti aperta ad ogni costo per mettere una pezza al nostro bisogno di supporto. La scuola si occupa di formare, educare, istruire i nostri figli, non è l’istituzione baby sitter, non è nemmeno corretto pretendere che i nostri figli restino a scuola dalle 8 alle 10 ore. Quindi in tempi di pandemia sarebbe corretto chiudere laddove non ci sono condizioni di sicurezza. Dobbiamo chiedere altro, dobbiamo lottare perché ci siano gli strumenti idonei per conciliare e che questi siano equamente distribuiti tra uomini e donne. Putroppo si continua a non voler prendere consapevolezza di alcune cose. C’è una profonda distorsione su come e su cosa incentrare le nostre rivendicazioni e battaglie. Ma è normale quando per anni ti hanno convinto che la scuola fosse altro da ciò per cui era stata istituita e tu non hai capito che in questo modo stavi partecipando al disastro che oggi abbiamo sotto gli occhi. Disinvestendo in risorse strutturali e di personale, snaturando il mondo della scuola, tutto è franato, e non da oggi. Come si può notare i livelli di riflessione e di intervento sono tutti strettamente interconnessi. Trovare soluzioni adeguate: questo è compito della Politica.

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.