Oggi incontro Giuliana Arena che nel 2011 ha vissuto l'esperienza della nascita prematura del suo secondo bimbo Matteo che è nato di 26 settimane. Matteo, dal caldo nido protettivo del ventre di sua madre, inizia la sua vita dentro la culla di vetro della Terapia Intensiva Neonatale e con lui vivranno quest'esperienza ardua e faticosa, sia fisicamente che psicologicamente e anche il suo fratellino.

Ora Giuliana ha pubblicato il libro che racconta la loro storia a lieto fine; scopriamo con lei cosa significa vivere un'esperienza così complessa com'è quella di diventare la mamma di un neonato prematuro.

 

Come è iniziata la storia del tuo bambino?

La storia di Matteo, il mio secondo bambino, inizia nel luglio del 2011: ero incinta e lo aspettavo per la metà di novembre. La gravidanza procedeva bene, senza intoppi. Quando, un giorno, mi accorsi che qualcosa non andava. Venni subito ricoverata: ero di appena 22 settimane e sembrava che il bambino stesse per nascere, a causa di una non meglio identificata infezione.

Il travaglio che sembrava imminente però non partì e così venni ricoverata in Patologia della Gravidanza dove rimasi, miracolosamente, quattro settimane, con il sacco rotto e gli antibiotici sempre in vena. Mentre il mio bambino se ne stava tenacemente aggrappato alla vita contro ogni previsione dei medici.

Matteo nacque il 14 agosto, di 26 settimane e 2 giorni. Pesava 830 grammi.

Come è stata la tua vita e quella della tua famiglia durante il ricovero del bambino in Terapia Intensiva Neonatale?

Da quel momento iniziò il nostro lungo percorso in Terapia Intensiva Neonatale.

Non è facile descrivere quel mondo a chi non c’è mai stato. La vita assume ritmi e tempi completamente diversi da quelli esterni e si trovano dentro di sé forze e risorse insospettabili.

La vita della mia famiglia fu completamente stravolta: io cercavo di “esserci” anche per il mio bambino grande che soffriva molto e al mattino stavo con lui. Mio marito prese quante più ferie possibili, ma doveva ovviamente anche pensare al lavoro. Al pomeriggio trascorrevo lunghe ore in ospedale e dopo poche settimane dalla nascita di Matteo presi a fare la marsupio-terapia.
Lo tenevo ogni pomeriggio sul mio petto, in un contatto pelle a pelle che resta l’esperienza più emozionante e forte della mia vita.

Mi tiravo il latte anche sette volte al giorno, per cercare di essere utile a quel mio minuscolo bambino e attenuare il senso di colpa che, subdolo, si insinuava dentro di me per non essere riuscita a portare a termine quel compito così importante.

La sera mio marito andava in Tin e ci restava fino a mezzanotte, mentre io mi prendevo cura, con le forze residue, del mio bambino grande.

Per il mio bambino, come per tutti i piccoli prematuri, ci sono state innumerevoli complicazioni, continui alti e bassi, infiniti passi indietro dopo qualche passo in avanti…

Ma ogni volta che abbiamo temuto il peggio, Matteo dimostrava la sua tempra e ci faceva capire che voleva restare con noi con tutte le sue forze.

Foto di Giuliana ArenaCome è andata una volta a casa con il bambino?

Il 23 di dicembre Matteo è stato dimesso. Il suo percorso però non finiva quel giorno, avremmo avuto ancora momenti difficili, visite, controlli, ricoveri. Per i primi mesi mi era stato dato dall’ospedale addirittura il saturimetro, l’apparecchio per monitorare il respiro del bambino. Certe volte, di notte, si metteva a suonare, magari semplicemente perché Matteo aveva strappato il sondino dal piedino… è facile però immaginare cosa significava sentire quel suono squarciare il buio e correre al lettino con il cuore in gola…

Perché questo libro? È stato difficile scriverlo?

Ho provato a iniziare a scrivere questo libro parecchie volte, fin da subito, ma i primi anni era impossibile: quelle emozioni erano ancora troppo vive. Poi improvvisamente, quasi quattro anni dopo, in giugno, mentre i bambini erano al mare con i nonni, l’ho scritto. In quel mese ho messo nero su bianco tutte le emozioni che per troppo tempo erano rimaste sospese dentro di me.

E ho cercato anche di raccontare il mondo della Terapia Intensiva Neonatale, un mondo difficile ma anche straordinario, incomprensibile per chi non ci è passato. Questo anche perché notavo una certa superficialità sul tema della prematurità da parte di chi ne era fuori. L’ho scritto pensando a tutte le mamme che, come me, non si sono sentite capite da chi era “fuori” dalla Tin.

E adesso, come sta Matteo? Come è vostra vita? 

Oggi stiamo tutti bene, per il momento viviamo a Bucarest, in Romania, dove mio marito lavora e i bambini frequentano una scuola internazionale.

Se ci penso, non mi sembra vero e, a ripensarci adesso, non so come la mia famiglia abbia fatto a superare quel periodo. Abbiamo avuto la fortuna di avere, sia io che mio marito, delle famiglie molto presenti alle spalle, che ci hanno sostenuto in ogni modo.

Poi, tanta forza ci è derivata dalla presenza del nostro bimbo grande, che aveva tanto bisogno di noi e non poteva essere lasciato solo, con la paura per quel piccolo fratellino che aveva visto, un giorno, chiuso nell’incubatrice. Io presi ad andare regolarmente da un psicoterapeuta che mi aiutò molto. Indubbiamente però gran parte della forza che ho avuto mi è derivata dalle altre mamme della Tin, con le quali ho condiviso momenti, giorni ed emozioni che hanno gettato le basi per legami indissolubili. 

 

Il nido di vetro, una piccola storia d’amore 

Copertina del libro Il nido di vetro, di Giuliana Arena

IL LIBRO

Il Nido di Vetro. Nel 2011 il secondo bambino dell’autrice nasce con più di tre mesi di anticipo e un peso di 830 grammi. Alcuni anni dopo, Giuliana Arena decide di raccontare, in questo memoir, il lungo e difficile percorso nella Terapia Intensiva Neonatale, incoraggiata anche dalle migliaia di lettrici che si erano ritrovate nei post sull’argomento usciti sul blog.

L’intento non è quello di descrivere la prematurità in sé o di indugiare nell’autocompiacimento, ma, piuttosto, quello di mettere a fuoco il vissuto di una madre che si trova, inaspettatamente, in un mondo del quale neanche sospettava l’esistenza, a lottare con il suo bambino per la sopravvivenza e per una vita dignitosa.

Le emozioni contrastanti, la solidarietà con le altre mamme, la strana normalità che si crea in un luogo di regole diverse e lontane da quelle a cui siamo abituati, gli alti e bassi, la gioia per progressi minimi, che assumono lì dentro un valore immenso; la relazione complessa con la vita fuori, con l’altro figlio, con il compagno; il rapporto con i medici e gli infermieri, particolare e denso di umanità. Tante storie di disperazione, ma soprattutto di speranza, si sono intrecciate a quella dell’autrice e qui sono raccontate, seppure con qualche modifica nei nomi e nelle circostanze esatte, senza che perdano la loro essenza e soprattutto il significato che, in quella particolari situazione, hanno assunto ai suoi occhi.

Il racconto si chiude con la fine di quel percorso, che ha portato il piccolo Matteo a casa, con la sua famiglia. Lasciando nell’autrice la consapevolezza di aver compiuto un viaggio straordinario.

L’AUTRICE

Giuliana Arena ha collaborato per diversi anni con l’università di Milano, pubblicando, tra le altre cose, una monografia (FrancoAngeli nel 2011). Lasciato il mondo accademico, si è dedicata ad altro: due bambini, un lavoro come consulente e formatrice aziendale e il portale www.mammeamilano.com, con il relativo blog, che supera oggi le 10.000 visite mensili e che le permette di parlare alle mamme e con le mamme delle piccole o grandi difficoltà di ogni giorno. I post sulla prematurità sono in assoluto i più letti e condivisi.
Nel 2015 ha pubblicato con la psicoterapeuta Francesca Santarelli Mamme no panic (Sperling&Kupfer).

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