La lingua come una danza: come non essere d'accordo con il verso finale della filastrocca contenuta nello “scrigno” ideato dall'Associazione Donne in Rete “La grammatica la fa... la differenza”, illustrazioni di Gabriella Carofiglio, edito da Matilda Editrice (ex Casa Ed. Mammeonline). Le autrici (Anna Baccelliere, Annamaria Piccione, Flavia Rampichini, Chiara Valentina Segrè, Luisa Staffieri e Giamila Yehya) si avvicendano e accompagnano bambini e bambine, attraverso racconti, filastrocche e giochi, alla scoperta di un universo linguistico che può avere orizzonti ampi o ristretti, a seconda delle scelte che si fanno quando parliamo o scriviamo, quando trasformiamo i pensieri in parole.

Un percorso didattico ma non solo, che riesce con la sua formulazione ad oltrepassare l'ambito scolastico e può essere un valido strumento per tutti/e per avvicinarsi a questi temi, grazie anche agli approfondimenti dell'appendice che raccoglie i contributi di Lina Appiano, Daniela Finocchi, Gemma Pacella, Graziella Priulla, Debora Ricci, Maria Teresa Santelli.

Era da tempo che volevo leggere questo lavoro e posso dire che ha superato di gran lunga le aspettative e ha suscitato l'interesse di mia figlia, che a settembre farà la prima elementare. Mi ha chiesto di cosa parlasse e le ho letto la filastrocca “Dubbi grammaticali”. Abbiamo parlato di cose un po' complesse ma in modo molto semplice.

Lei mi sente spesso parlare di questi argomenti, avverte e comprende certe sfumature, confermando che mai è troppo presto.
La possibilità di cambiare prassi e mentalità è a portata di mano, a partire dal linguaggio, perché la lingua è materia viva, forma della nostra cultura. Anche perché poi tutto viene più naturale e non risulta più cacofonico e strano, ma appunto adoperare correttamente le parole e declinarle per genere è una preziosa abitudine.

Le regole grammaticali appaiono più sensate se avviene una riflessione su di esse e su ciò che possono rappresentare, costruire, realizzare. Il linguaggio prende forma e diventa davvero una rete amica, non un corpo estraneo, ma una chiave per avventurarsi in un mondo più ricco e vario, senza perdere pezzi interessanti e utili.

Così anche i diritti e l'uguaglianza non son più concetti astratti, svincolati dalla quotidianità, ma costituiscono qualcosa che plasticamente diventa vivo e pratica incessante, anche attraverso la lingua.

Tutto appare per ciò che è: strettamente interconnesso. Azioni, relazioni, interazioni, strutture mentali prendono forma attraverso il linguaggio.

Nel saggio “C’è differenza” di Graziella Priulla, leggiamo:

“Sebbene il linguaggio sia strumento per collegare, unire, creare relazioni, condividere, esso può anche diventare uno strumento per dividere, discriminare, escludere. Denigrare è la condizione prima per avvalorare l’inferiorità. (…) Nell’offesa non c’è nessun argomento, nessuna idea. Il fine è solo ferire l’altro.”

Ma oltre agli insulti e alle ingiurie delle parole, nelle loro mille sfumature e varietà (dal sessismo al razzismo), tuttora molto diffuse, accade che di sottovalutazione in sottovalutazione, si finisce col tollerare cose che innocue non sono. Una escalation di odio dagli effetti nefasti, con i social che amplificano ciò che è già presente nel mondo reale.

Tutto questo normalizza e dona una sorta di dignità subculturale a uno stile espressivo, fino a giustificarne l’uso: parlare così, quindi pensare così ti rende parte del gruppo dominante, ma anche complice di una deriva molto pericolosa, dagli effetti altamente nocivi.

Sono veicoli di pregiudizi e di un immaginario violento e volto appunto a ferire, ad annientare.

Le parole sono importanti sempre e vanno usate con cura. Per dare esistenza e per tendere all'uguaglianza. L'uso corretto del linguaggio di genere non è un esercizio elitario, sterile, inutile, bensì ne paghiamo tutti le conseguenze: senza una reale comprensione delle ricadute, più arduo sarà riuscire a stabilire un dialogo costruttivo, composto da un doppio binario mittente-destinatario.

Il linguaggio ha effetti sui comportamenti umani: considerare ammissibili e non stigmatizzare gli insulti sessisti contro le donne equivale a “normalizzare”, ad autorizzare la violenza su di loro. Il sessismo attraverso il linguaggio penetra così tanto nel subconscio fino a scomparire come violenza, aggressione, umiliazione, disumanizzazione, quale invece è.

Un linguaggio meno sessista è segno di una società che matura, migliora, progredisce.

Immagine interna dal libro "La grammatica fa la differenza)

Allo stesso modo un linguaggio discriminatorio e carico d'odio distruggerà quell'humus comune che ci rende umani, capaci di empatia, di comprensione oltre i pregiudizi.

Le parole sono importanti, influenzano la percezione che uomini e donne hanno dei generi, all’interno della società. Le parole sono importanti per destrutturare modelli di potere fonti di disparità e di sopraffazione.

Tornando sul terreno del rispetto tra i generi e di una corretta rappresentazione e descrizione della realtà, si tratta di conferire nuova sostanza al terreno del linguaggio, in modo che sia in grado di trasmettere un cambiamento, per dar voce alla presenza delle donne ed esserne testimonianza viva. Rinominare, per ridefinire e pensare in modo diverso. Occorre adoperare un linguaggio adeguato, che permetta di identificare e riconoscere anche le sfumature rivelatrici di un sistema oppressivo e discriminatorio.

Mi piace sempre ricordare questo frammento del filosofo Ludwig Josef Johann Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio determinano il limite del mio mondo”.

Gli stereotipi creano pregiudizi. Per una buona e sana comunicazione tra individui è necessario cercare e trovare metodi nuovi: sostituire un pregiudizio che blocca e chiude tante possibilità, varianti, sfumature di comunicazione, di significato e di relazione con un'altra forma di significato che apra alle possibilità molteplici di relazione e di significazione, ovvero di ricchezza di senso.

La bufala del gender purtroppo è sempre in agguato ed è difficile da debellare. Non si tratta solo di episodi di censura, ma di qualcuno che preferisce l'ignoranza alla cultura e alla conoscenza.

 

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.